mercoledì 17 febbraio 2010

I RACCONTI DI SKINWALKER

Sono un ragazzo strano, o almeno così dicono gli altri; vivo a Dzerzhinsk, in Russia. Qualche anno fa ero un semplice studente e stavo con la mia famiglia a San Pietroburgo, ma successe qualcosa di estremamente strano, che tutt'ora è il fardello che devo portarmi sulle spalle.
Ricordo che la città era bellissima in primavera, magica, i cieli sono ripuliti dalle nuvole e creano un'infinita distesa azzurra, mentre la lieve brezza del mare Finlandese soffia tra i rami degli alberi in fiore ed il sole si infrange contro i palazzi della città, facendoli sembrare ancora più splendenti di quanto son già. San Pietroburgo in primavera è bellissima. Io studiavo medicina, un ragazzo determinato ed ambizioso, ed ero una di quelle persone che se non vedono non credono; chi avrebbe mai pensato all'esistenza di forze inspiegabili che controllano i flussi del mondo e una forte madre terra che funge da portone dell'aldilà? Ai tempi di sicuro non io.
Ricordo ero uscito con Sveta, la mia ragazza all'epoca, eravamo andati al cinema a vedere “Spiderman 2”, a me era piaciuto, a lei non molto; fatto sta che nel tornare a casa fummo aggrediti da una banda di zingari, faceva buio e loro volevano toccare il sedere di Sveta, erano sbronzi. Mi frapposi tra loro e la mia ragazza, mollai alcuni pugni, ma erano troppi. Un ragazzone col viso completamente butterato e sudicio come l'asfalto, mi dette uno spintone, premendo sulla mia gola e mi fece sbattere la nuca contro un tubo d'acciaio; mi mancò l'aria, boccheggiavo come un pesce fuor d'acqua, mentre Sveta si subiva un vero e proprio stupro, non una sola palpata di culo.
Le strapparono i vestiti, la schiaffeggiarono e la gettarono a terra; intanto la mia testa, stava come per esplodere, mi fischiavano le orecchie in modo assurdo, mi facevano digrignare i denti; mentre la mia bocca era contratta, ma non dal dolore , sentivo che era una reazione data dal mio cervello. Con quella botta mi avevano forse causato più danni di quel che poteva sembrare? I nervi del corpo cominciarono ad irrigidirsi, mentre vedevo lo stupro in diretta della mia ragazza, non riuscivo a muovermi, li sentivo contrarsi e rimanere rigidi; bruciavano, se si fossero tesi ancora un po' sarebbero schizzati come una corda rotta di un violino. Poi tutto tacque, non sentivo più un suono, niente, credetti di esser diventato sordo; ma poi accadde l'impensabile, mi alzai tenendomi al muro, uno di loro lasciò Sveta agli altri e mi guardò con sfida; mi mollò un pugno nella bocca dello stomaco, facendomi uscire un rivolo di bava. Ricordo che vedevo tutto strano, sfocato, diverso, indietreggiai per il pugno, ma non era quel gesto a preoccuparmi; mi sentivo strano e volevo che quel figlio di puttana la pagasse cara, lui e tutti i suoi amici.
Una sola frase uscì dalla mia bocca da uno strano meccanismo di pensieri messi insieme, “Linea 2-Elektrosila”. Lo zingaro mi guardò divertito, in effetti era una cosa che non aveva niente a che vedere con quello che stava succedendo; qualcosa successe però, l'asfalto cominciò a rompersi, ne uscirono dei binari e dai binari con una velocità assurda passò la Linea 2-Elektrosila. I fari della metropolitana illuminarono me, Sveta e gli stupratori; ci investì a tutti, l'ultima cosa che vidi fu quella luce gialla del vagone, sentii le grida dei malintenzionati e le mie ossa che si rompevano. Sveta e gli zingari erano morti; io, io mi risvegliai in ospedale alcuni giorni dopo.
Avevo la spalla rotta e di conseguenza tutto il braccio che vi è attaccato; la faccia gonfia e uno zigomo mi era andato in frantumi, ma quel dolore non era nulla, quando presi consapevolezza della morte della mia ragazza, il vero dolore era altro, quello fisico non esisteva, piansi per giorni e giorni, nonostante non riuscivo a esprimere troppe emozioni con la faccia distrutta che mi ritrovavo.
Passati i mesi, mi ripresi; andai molte volte col braccio ingessato a vedere dove dal nulla era comparsa la linea 2, erano rimasti solo i segni dell'asfalto rotto dai binari e nient'altro, nessuno oltre me aveva visto niente.
Presi consapevolezza, che a compiere quel gesto era stata la mia volontà ed il senso di colpa fu tale, che decisi di lasciare gli studi ed il paese; mi trasferii a Dzerzhinsk, una piccola cittadina, fredda, dura e grigia. Decisi di ricominciare da zero e che avrei in qualche modo fatto luce sugli avvenimenti di quella triste notte; ed ora sono qui, mi chiamo Adrian Zarkovskij, qui a Dzerzhinsk faccio il magazziniere e la mia vita fa schifo.



-DAL NULLA

Quella fottutissima sveglia, continua a suonare e suonare, avrò dormito si e no quattro ore; con gran fatica mi alzo dal letto, fuori nevica, dovrebbe esser la vigilia di Natale, anche se sarò solo a festeggiarlo. Anzi, forse sarò al lavoro. Lo spazzolino da denti mi irrita le gengive, sono troppo irruento nel lavarmeli; mi metto i doppi pantaloni, camicia a scacchi, maglione ed un vecchio eskimo del mio patrigno; guanti, cappuccio, sciarpa ed esco. Non ho mai fame di mattina e di certo andare al lavoro che non è ancora l'alba, non mette di certo appetito, mangerò a pranzo.
Le strade sono deserte, non c'è anima viva, io e la neve; e qui nevica molto, mi fumo una sigaretta e con l'i-pod nelle orecchie, cammino e viaggio con la testa:
“Sveta è nuda, nel mio letto, io sto in piede davanti a lei, nudo a mia volta; sto fumando dell'erba alla finestra. Per tutta la stanza si sente odore di sesso, mescolato alle candele profumate delle quali sono ormai schiavo; lei mi intima di gettare lo spinello e tornare a letto, vuole le coccole. Obbedisco, mi stendo sul fianco e le metto il braccio intorno ai fianchi, è così calda. I suoi capelli che si contorcono vicino al mio naso, sono una melodia di profumi, merito del suo shampoo alla vaniglia, nonostante sia ancora sudata ha un odore gradevolissimo. Con la mano le inizio ad accarezzare i fianchi, molto delicatamente col dorso delle mie dita; lei geme e mi fa un sorriso, continuo, sempre più giù. Dal fianco passo al suo bacino longilineo, per poi dirigermi verso l'ombelico; per Sveta è sempre stato un punto particolarmente sensibile. Scendo ancora. Lentamente. Il suo inguine è così morbido, lo accarezzo solo con l'indice ed il medio, lei continua a gemere; scendo ancora e sono sorpreso da qualcosa di freddo; estremamente freddo, è come si muovesse strisciando. Lo afferro e con irruenza lo porto fuori dalle coperte, Sveta sta ridendo, qualcosa non va”. Quando capisco cosa la mia mente partorisce mi riprendo, smetto di viaggiare con la testa, neanche lì è un posto così sicuro; come diavolo ho potuto immaginare un serpente tra le gambe della mia ex ragazza? Sono una persona spregevole.

Lavoro tutto il giorno, carico, scarico merci di cui non conoscerò mai il mittente ed il destinatario, non mi interessa; lo faccio e continuo così per ore e ore, fino alla pausa pranzo.
Sono ad una piccola rosticceria bar, i miei colleghi non pranzano mai con me e io non pranzo con loro, mai. Mentre mangio dei pel'meni troppo unti e sicuramente scongelati male, uno strano uomo che si era portato entrando la fredda brezza del paese, si siede al mio tavolo davanti a me; evito di guardarlo in faccia e non dico una parola, sto concentrato sul mio piatto. Lo vedo leggermente con la coda dell'occhio, è ben vestito, ha dei guanti in pelle e delle bellissime scarpe, lucidissime; a quel punto decido di fregarmene e lo guardo. Un bell'uomo, elegante e di aspetto affabile; porta degli occhiali da sole molto scuri, i capelli leccati letteralmente all'indietro, senza un pelo di barba.
Appena incrocio il suo sguardo mi sorride, con la sua fila di denti bianchissimi.

-Ciao Adrian, mi ci è voluto del tempo per trovarti....
-Come sa il mio nome signore?
L'uomo togliendosi i suoi guanti di pelle comincia a parlare molto disinvolto, non aspettava altro.
-Io mi chiamo Jan e premetto...So tutto di te...
-E sentiamo cosa saprebbe...Jan?
-Tutto, di te, di Svetlana, della linea 2 della metropolitana di San Pietroburgo...beh che altro?...Che adesso vivi in questo buco di paese...
Jan adesso fa una sostanziosa pausa con un bel respirone e riattacca a parlare, come una cazzo di macchinetta.
-....Sai credo che San Pietroburgo sia bellissima e non riesco proprio a capire come mai tu te ne sia voluto andare...Capisco che le situazioni, gli zingarelli e tutto il resto potessero farti vedere la città sotto un altro punto di vista...Ma fidati, da uno che vive a Mosca; San Pietroburgo è una bellissima città.
-Brutto stronzo ma come ti permetti?



-Ahahaha calma calma tigrotto...Vorrei offrirti una chance, una nuova vita...
-Cioè?
-Finisci quei pel'meni scotti e andiamo a fare una passeggiata.

Detto ciò si è messo silenzioso a guardare ogni persona del locale e tamburellando il tavolo con le dita, mi ha messo fretta e di avere fame non se ne parla. Non dice più una parola, forse lo
e aveva sprecate tutte prima. Dopo aver pagato, ci siamo diretti in una zona più tranquilla, per quanto già sia tranquilla Dzerzhinsk, ci siamo seduti su una panchina, mi parla, ma non mi guarda in faccia, come se fosse ipnotizzato dalla condensa che esce dalla sua bocca col freddo.

-Adrian, vogliamo che ti unisci a noi...Anche tu sei speciale ed il mio capo sta cercando gente come te...o me...
-Come fate a sapere di me?
-Quando lavori per chi lavoro io, sai più o meno tutto di tutti.
-E per chi lavori?
-Questo non posso dirtelo, per adesso.

Di colpo si è tirato in piedi, alzando una gran quantità di neve con le sue scarpe lucide e dopo aver fatto due passi indietro, con aria di sfida ed indicandomi mi ha detto:

-Fammi vedere!
-Vedere cosa?
-Quello che sai fare Adrian...Voglio vedere apparire le cose dal nulla; e io se vorrai poi ti farò vedere la mia abilità.

Mio Dio, che personaggio assurdo, adesso vorrebbe che facessi vedere a lui le mie capacità...Capacità che oltretutto non ho quasi mai usato; mi sembra di esser preso per i fondelli, ma questa sfida al contempo mi stimola a vincerla ed una delle due parti della mia coscienza prenderà sicuramente il sopravvento.

-Ok amico...che vuoi che faccia comparire?
-Mmmmm...prova con una pistola..ne hai mai vista una si?
-Certo...Mio padre ne aveva una collezione...E va bene..una pistola!
Spesso concentrarsi non è così facile, sopratutto se osservati e oltretutto mentre messi alla prova; pensando a una pistola, mi viene in mente quella preferita dal mio patrigno; una Cz Vzor 52. Carica. L'ho immaginata tra le mie mani e difatti mi sono messo come per impugnarla.
E' apparsa, e la faccia di Jan tradisce la sua tranquillità; forse la mia abilità lo ha sorpreso più di quanto si aspettasse.

-Niente male davvero Adrian!
-Visto?...

Da qualche tempo avevo capito come funzionasse il mio potere; richiamavo una cosa dove volevo, togliendola però da un'altra parte. Probabilmente ora il mio patrigno non ha più la sua Cz Vzor 52.

-Tu che cosa sai fare invece Jan?
-Beh non è una cosa che si vede in giro molto spesso...sicuro che vuoi vederlo?
-Perchè no? Tu hai visto di cosa son capace io!
-Ok è giusto....Allora sparami...Proprio alla testa!
-Che vuol dire? Sei pazzo forse?...Io non sono un assassino!
-In parte Adrian...In parte; o devo ricordarti la Linea 2?
-Bastardo!



Il proiettile è entrato, gli ha sfondato il cranio come fosse stato un coltello che entrava nel burro, burro umano. L'eco dello sparo riecheggia nel silenzio del paesino, mentre le mie orecchie fischiano.
Jan tocca lentamente il suolo, ha un'espressione bete sul volto, come quasi non se lo aspettasse; ma se lo aspettava. Indietreggiando, poggia la schiena contro un albero e comincia a guardarmi sorridendo. La sua ferita sta tornando a posto, con un suono disgustoso, come se qualcuno dentro il suo cranio stesse bevendo il fondo di un succo di frutta con la cannuccia. Inquietante.

-Visto?
E la fronte torna a posto lasciando solo un piccolissimo segno.
-Co-come diavolo hai fatto?
-Come tu richiami le cose io mi rimetto a posto...Velocemente!

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